mercoledì 1 settembre 2010

mercoledì 21 aprile 2010

Ask the dust

Volete sapere della storia di Arturo Bandini, del suo sogno di diventare scrittore e del suo amore non corrisposto per una messicana di nome Camilla Lopez?


Lui, Arturo Bandini, giovane italoamericano ricolmo di grandi sogni che scappa dalle terre del Colorado, abbandona sua madre e si trasferisce nella L.A. degli anni 40.
Da qui parte la caccia all'esperienza, di quei frammenti di realtà che potranno diventare un qualcosa di importante.
Sempre alla ricerca di quel perfetto equilibrio tra realtà e letteratura, tra esperienza vissuta ed esperienza masticata. E'attraversato da personaggi che rappresentano uno vero stupro alla moralità, ma Bandini non cede. Filtra come una caffettiera, estraendo l'aroma di queste storie di uomini senza farsi troppo contaminare. Egli cerca di non essere investito da questi tratti peccaminosi.
Il suo è un lavoro ignobile a dirla tutta: osserva il dramma da attore più o meno passivo, rimugina e scrive.
Grazie ragazzi per avermi dato questi input; rimescolerò tutto e assieme al mio delirio di onnipetanza verrà un capolavoro letterario; ora potete continuare a vivere la vostra vita del cazzo.

Lei, Camilla Lopez, mejicana, giovane cameriera innamorata di un "vero" americano, stronzo fino al midollo che dispregia quei greasers messicani. Bandini se ne innamora, ma come si può ben capire è un amore non corrisposto. Lei inizia a percorrere la strada della disintegrazione fisica, del dispregio per una qualsiasi forma di amor proprio, di quel sedativo naturale di nome maria capace di somatizzare tutto il peso delle delusioni.

Volete sapere della storia di Arturo Bandini,del suo sogno di diventare scrittore e del suo amore non corrisposto per una messicana di nome Camilla Lopez?
Chiedete ai baristi di quegli squallidi locali o ai filippini che stanno per le strade. Chiedete alle Ford arrugginite degli anni 20. Chiedete alle luci fulminate dei motel o ai topi che impestano le loro stanze. Chiedete al vento tagliente che attraversa le strade di L.A. o al faccione di Washington riposto nella baconota da 1$.

Oppure chiedete ad Arturo Bandini, l'uomo che ha imparato ad ascoltare la polvere

domenica 11 aprile 2010

Jules Winnfield e il suo Ezechiele 25:17

« Ezechiele, 25:17. Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà, conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in realtà il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare, e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te! »


ooooooh che belloooooo

E invece è una s*******a.

Sì, non c'è nessun Ezechiele che nel capitolo 25 al versetto 17 recita codeste parole. Il buon "predicatore" cerca di incutere una sorta di timore apocalittico del giudizio del Signore, recitando uno dei versi più significativi della scena cinematografica degli anni 90. Uao ma che stile sto Jules Winnfield!!!
E invece niente, presi per il c**o tutti.
In verità il vero versetto recita la visione di Ezechiele nei confronti dei Filistei abitanti delle terre di Canaan, in conflitto con il popolo israelita e poi sconfitti simbolicamente con l'episodio del gigante Golia (piccolo appunto per chi non lo sapesse)

Ora vi riporto l'autentico verso 17 del capitolo 25 di Ezechiele:

Farò su di loro terribili vendette,
castighi furiosi,
e sapranno che io sono il Signore,
quando eseguirò su di loro la vendetta».


Ecco, la matrice del giudizio divino è sempre presente sia chiaro. Documentandomi con un libro in particolare, ho avuto modo di vedere che il resto sono riferimenti sparsi a concetti, frammenti (insomma un copiataglincolla) dell'Antico/Nuovo Testamento; "il cammino del giusto"(Salmo I), "la buona volontà" dell'evangelista Luca o la "valle delle tenebre" (Salmo 23).


E quindi perchè? Che Jules abbia fatto un mix tra interpretazione propria, passi della Bibbia e sermoni ascoltati da piccolo, quando era obbligato ad andarci per fare la Prima Comunione?

martedì 23 marzo 2010

Ciò in cui credo – James G. Ballard Parte II

Ho assimilato, ho riflettuto e ho analizzato gli appunti del corso. Bene.

Dal post precedente sono rimasta affascinata da lui. Ma fino a un certo punto. E vi spiegherò il perchè.

Egli è Ballard. Un uomo non ordinario. Il suo è uno sguardo itinerante capace di cogliere gli elementi concreti della realtà odierna. Meglio ancora, una sguardo piuttosto maniacale che capta le cose perverse della nostra società.
Egli capisce che gli oggetti godono di atrattiva, sono affascinanti. Questo bastardo ha capito che bisogna vedere il mondo sotto una lente d'ingrandimante e posare l'attenzione sul dettaglio apparentemente più insignificante. Da lì il fascino per questi motel desolati e per quelle griglie delle automobili. Poetico da morire.

Vediamo la questione morbosa che mi turba di lui.
Ballard è un fottuto pazzo. Partiamo da questo presupposto. L'elemento banale che ha captato osservando la società da voyeur diventa il centro morboso attorno la quale girano le esistenze dei suoi personaggi.

Vediamo uno dei suoi libri: "Crash"

In questo libro il corpo diventa il protagonista del libro. La perversione fa da padrone nella storia. La modernità e l'uomo diventano un tutt'uno, trasformandosi così in un modello di unione sessuale estrema tra "il corpo e la macchina". Il protagonista studia tutti gli incidenti d'auto, questa nuova "arte" legata al corpo in relazione alla tecnica. Il Perverso prova eccitazione intellettuale ogni volta che vede degli incidenti per intenderci.Ma perchè?
Perchè osservare l'incidente e quindi la macchina (icona del mondo dei consumi) significa trovare quella dimensione libidica che la società ha mutilato negli uomini.

Ringrazio il mio prof di Filosofia teoretica per questo, ma non mi convince

Non so, è troppo per me.

mercoledì 17 marzo 2010

Ciò in cui credo – James G. Ballard

Vi propongo il testamento spirituale lasciato da un grande autore post-modernista. Mi ci vuole un pò per somatizzare e rifletterci. Vi prometto di darvi la mia opinione e il mio commento un giorno o l'altro. Per il momento fate la fatica di leggerlo tutto perchè ne vale la pena.




Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli.

Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d’auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell’eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati.

Credo nelle rampe in disuso di Wake Island, che puntano verso il Pacifico della nostra immaginazione.

Credo nel fascino misterioso di Margaret Thatcher, nella curva delle sue narici e nella lucentezza del suo labbro inferiore; nella malinconia dei coscritti argentini feriti; nei sorrisi tormentati del personale delle stazioni di rifornimento; nel mio sogno che Margaret Thatcher sia accarezzata da un giovane soldato argentino in un motel dimenticato, sorvegliato da un benzinaio tubercolotico.

Credo nella bellezza di tutte le donne, nella perfidia della loro immaginazione che mi sfiora il cuore; nell’unione dei loro corpi disillusi con le illusorie sbarre cromate dei banconi dei supermarket; nella loro calda tolleranza per le mie perversioni.

Credo nella morte del domani, nell’esaurirsi del tempo, nella nostra ricerca di un tempo nuovo, nei sorrisi di cameriere di autostrada e negli occhi stanchi dei controllori di volo in aeroporti fuori stagione.

Credo negli organi genitali degli uomini e delle donne importanti, nelle posture di Ronald Reagan, di Margaret Thatcher e della principessa Diana, negli odori dolciastri emessi dalle loro labbra mentre fissano le telecamere di tutto il mondo.

Credo nella pazzia, nella verità dell’inesplicabile, nel buon senso delle pietre, nella follia dei fiori, nel morbo conservato per la razza umana dagli astronauti di Apollo.

Credo nel nulla.

Credo in Max Ernst, Delvaux, Dalì, Tiziano, Goya, Leonardo, Vermeer, De Chirico, Magritte, Redon, Dürer, Tanguy, Facteur Cheval, torri di Watts, Böcklin, Francis Bacon, e in tutti gli artisti invisibili rinchiusi nei manicomi del pianeta.

Credo nell’impossibilità dell’esistenza, nell’umorismo delle montagne, nell’assurdità dell’elettromagnetismo, nella farsa della geometria, nella crudeltà dell’aritmetica, negli intenti omicidi della logica.

Credo nelle donne adolescenti, nel potere di corruzione della postura delle loro gambe, nella purezza dei loro corpi scompigliati, nelle tracce delle loro pudenda lasciate nei bagni di motel malandati.

Credo nei voli, nell’eleganza dell’ala e nella bellezza di ogni cosa che abbia mai volato, nella pietra lanciata da un bambino che porta via con sé la saggezza di statisti e ostetriche.

Credo nella gentilezza del bisturi, nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell’universo nascosto nei supermarket, nella solitudine del sole, nella loquacità dei pianeti, nella nostra ripetitività, nell’inesistenza dell’universo e nella noia dell’atomo.

Credo nella luce emessa dai televisori nelle vetrine dei grandi magazzini, nell’intuito messianico delle griglie del radiatore delle automobili esposte, nell’eleganza delle macchie d’olio sulle gondole dei 747 parcheggiati sulle piste catramate dell’aeroporto.

Credo nella non esistenza del passato, nella morte del futuro, e nelle infinite possibilità del presente.

Credo nello sconvolgimento dei sensi: in Rimbaud, William Burroughs, Huysmans, Genet, Celine, Swift, Defoe, Carroll, Coleridge, Kafka.

Credo nei progettisti delle piramidi, dell’Empire State Building, del Fürerbunker di Berlino, delle rampe di lancio di Wake Island.

Credo negli odori corporei della principessa Diana.

Credo nei prossimi cinque minuti.

Credo nella storia dei miei piedi.

Credo nell’emicrania, nella noia dei pomeriggi, nella paura dei calendari, nella perfidia degli orologi.

Credo nell’ansia, nella psicosi, nella disperazione.

Credo nelle perversioni, nelle infatuazioni per alberi, principesse, primi ministri, stazioni di rifornimento in disuso (più belle del Taj Mahal), nuvole e uccelli.

Credo nella morte delle emozioni e nel trionfo dell’immaginazione.

Credo in Tokyo, Benidorm, La Grande Motte, Wake Island, Eniwetok, Dealey Plaza.

Credo nell’alcolismo, nelle malattie veneree, nella febbre e nell’esaurimento.

Credo nel dolore.

Credo nella disperazione.

Credo in tutti i bambini.

Credo nelle mappe, nei diagrammi, nei codici, negli scacchi, nei puzzle, negli orari aerei, nelle segnalazioni d’aeroporto.

Credo a tutti i pretesti.

Credo a tutte le ragioni.

Credo a tutte le allucinazioni.

Credo a tutta la rabbia.

Credo a tutte le mitologie, ricordi, bugie, fantasie, evasioni.

Credo nel mistero e nella malinconia di una mano, nella gentilezza degli alberi, nella saggezza della luce.

sabato 20 febbraio 2010

Lolita: film o libro?

Era da un pò che volevo parlare di Lolita, ma prima di scrivere su di lei volevo vedere il film di Kubrick, "Lolita" per l'appunto.
Devo dire che quel fottuto genio di Kubrick è riuscito in un certo qual modo a riproporre bene questo rapporto scabroso: lei ragazzina sui 12 anni,"ninfetta" dannatamente provocante, sfacciata, ribelle. Lui, Mr. Humbert, docente di letteratura francese, perverso, succube della giovane Lo, lobotomizzato a causa del suo innato istinto verso la provocazione.
Il film parte bene, buona rappresentazione, buona la forma da falsa-ingenua in grado di far uscire quell'odore di eros da parte di Dolores Haze. Dò un bel 9 all'attrice che interpreta il film. Complimenti perchè è entrata perfettamente nella parte della giovane ninfetta seduttrice, sfrontata, che deve solo chiedere per avere, semplicemente ripercorrendo con le sue dita smaltate il volto del cinquantenne.Sì, c'è riuscito Kubrick.

Ma. Sì, cazzo, c'è un Ma. Nabokov è stato migliore. Voglio dire, dalla penna del russo è venuto fuori un qualcosa di migliore. E parlo del gioco di sguardi descritti, degli incontri ravvicinati proibiti, di una mano che scivola attorno al collo del professore, di un'aria nella stanza che sa di libido allo stato puro. Sto parlando di quelle descrizioni non visuali ma scritte che contribuiscono a farti capire appieno l'evoluzione del rapporto tra i due. Forse il crescendo non risalta troppo in Kubrick, forse la censura dell'epoca non ha permesso al regista di poter rappresentare al meglio il libro.

Non so perchè ma mi viene voglia di fare un paragone con Bukowski anche se non ci azzecca nulla. Forse perchè sia Hank che Nabokov parlano di argomenti provocanti. Tra i due non so chi preferisco.
Il russo esprime forse una voluttuosità molto raffinata, dà più spazio all'immaginazione; egli ti dà gli input per far lavorare la tua black box . Dice e non dice, descrive il giusto per farti capire cosa succede ma sei tu lettore che deve continuare il suo abbozzo. Bello, mi piacciono i tipi come lui.
Bukowski, beh lo conoscono tutti lo stile di Hank. Se deve parlare di una scopata con una donna scrive letteralmente la storia di quella scopata. Voglio dire, egli non ha mezzi termini, è schietto e diretto. Però attenzione perchè non è banale. Voglio dire, dietro a quella scopata lui alla fine trae una conclusione. Non so, ci sono modi e modi di descrivere e parlare della vita. Egli sceglie quella più diretta però alla fine di quella sfilza di parole volgari si arriva a qualcosa. Qualcosa che bisogna cogliere abilmente perchè altrimenti lo si interpreta come una mera sommatoria di atti osceni.
Vabbè ho finito con i viaggi mentali spero vi sia venuta voglia di leggere quel libro o vedere almeno il film.

Ah ecco vi rifilo una canzone del Boss. Cosa centra? Una fava ma è da un pò che mi frulla in testa

venerdì 29 gennaio 2010

The Catcher in the Rye

Che diavolo, era da un pò che non ci lasciava qualche pezzo grosso. E per pezzo grosso intendo un VERO pezzo grosso. Per chi non l'avesso capito dal titolo sto parlando di Salinger, autore di "The Catcher in the Rye" più comunemente conosciuto come "Il giovane Holden". Mi ricordo ancora; è stato il primo libro che mi ha regalato mio padre, il primo libro che sconvolge la vita di un adolescente.
Sono convinta che gli adolescenti si distinguano tra quelli che han letto il Giovane Holden durante la gioventù e quelli che non l'hanno letto. E non si tratta di una mera classificazione da odiosa spocchiosa ma è la verità. Voglio dire, secondo me è una tappa fondamentale nella vita di un giovane; all'incirca come prendersi un'allegra ciucca adolescenziale.
Diamine alla fine tutti dobbiamo crepare prima o poi. Questione di tempo soprattutto se si oltrepassa la soglia dei 90, quando ormai sei ridotto abbastanza maluccio. Però cazzo, anche se con 91 anni, sapevo che quello spirito era ancora vivo anche se sotto forma di mummia, sapevo che l'anima di colui che ha prodotto il manifesto della ribellione giovanile respirava ancora.
Ora è morto stecchito e mi dispiace ad essere sincera. Forse perchè veramente segna la tua vita in quella fase dove i ragazzi sono del tutto plasmabili e possono assimilare l'impossibile. Forse perchè al giovane Holden sono legati molti ricordi. Forse perchè in fondo Salinger lo considero come un Marinetti futurista. O forse semplicemente perchè non ho niente di meglio da fare che scrivere su un vecchio appena morto. Pace all'anima sua va.

domenica 17 gennaio 2010

Gatsby chi?

Non vi è mai capitato di aver pensato: " cavolo se solo avessi potuto conoscere quel tipo".
Ecco a me è successo lo stesso per "The Great Gatsby". E dico cazzo se avrei voluto conoscere Gatsby.
Per chi non lo conoscesse è il protogonista del famoso romanzo di Fitzgerald.

Non ho voglia di raccontarvi la storia ma posso dire che il libro è finito troppo male. Quell'alone di mistero che fluttuava attorno a lui gli conferiva il fascino del giovane misterioso, pieno di incognite che ti attrae come una calamita. A fine libro, nonostante la morte tragica, sei ancora lì che ti chiedi: "Ma chi cazzo era Gatsby?" e continui dannatamente a non riuscirti a dare una risposta. Diamine. Mi è rimasto l'amaro in bocca. Che delusione. Forse troppa. Ma forse quel genio di Fitzgerald voleva arrivare a questo. Bastardo, lo sapeva che avrebbe lasciato quest'impressione. Come quando stai per addentare un piatto di carbonara fumante egli è riuscito a far volatizzare tutto. Infame, rimarrò col dubbio su che sapore avesse quel fottuto piatto di carbonara.

Ci sarei uscita volentieri con quel Gatsby. Magari a prendere una birra. Chi lo sa.